L’ultimo album di Alessio Elia, Celestial keys, pubblicato da Brilliant Classics nel dicembre del 2024, ci offre una panoramica esemplificativa degli importanti traguardi raggiunti dal compositore attraverso il suo personalissimo linguaggio musicale.
Descritto
come un “unicum nel panorama compositivo dei nostri tempi” (Il
Corriere musicale), Alessio Elia ha raggiunto visibilità
internazionale grazie all’integrazione di diversi sistemi di
intonazione, una tecnica di scrittura che ha definito
“polisistemismo”, presentata a La
Cité de la
Musique
a
Parigi
nel 2014, e che ritroviamo, con diversi gradi di complessità, nei
cinque brani che compongono l’album.
La
prima cosa che colpisce dopo aver ascoltato i lavori di Elia è l’uso
sapiente dell’orchestrazione, che si incarna nel modo in cui il
compositore reinterpreta il contrappunto, pensato come un generatore
di timbri, in cui le combinazioni sonore disintegrano la separazione
tra i diversi parametri di cui la musica si compone, abolendo il
confine tra suono, effetto, rumore e tracce residue di fenomeni
acustici.
Se ne ricava una musica che guarda per l’appunto al
fenomeno acustico, e che lo integra all’interno del tessuto sonoro,
ricercandone l’aspetto sensoriale, invitando l’ascoltatore ad un
certo abbandono estetico.
In
Luminescences,
brano del 2005, primo esempio di polisistemismo, i vibrati di
armonici degli archi creano un timbro etereo, cristallino, su cui si
stagliano gli arabeschi del clarinetto.
È
una musica fatta di sonorità rarefatte, siderali, volta
all’esplorazione di registri acutissimi.
Un brano che non
rinuncia tuttavia all’espressività melodica. Difatti dagli
arabeschi iniziali del clarinetto emerge una bellissima melodia, nel
registro acuto dello strumento, cui fa eco nella sezione successiva
la melodia del violoncello fatta tutta di suoni armonici su un
ostinato nel registro grave del vibrafono.
Dopo una breve
ripresa del materiale iniziale ci si avvia rapidamente verso la coda
del brano, in cui il clarinetto va alla ricerca di una nuova melodia,
muovendosi tra pochi suoni attigui sui continui ostinati degli archi,
ma ormai il materiale va ad esaurirsi e non appena gli archi brillano
in sonorità acute e scintillanti il meccanismo si spegne e si
cristallizza su un ultimo accordo che sancisce la conclusione del
brano.
Meravigliosa e di grande padronanza tecnica è
l’interpretazione di Marco
Ortolani,
con un suono bellissimo ed una omogeneità timbrica nei diversi
registri che si ascolta solamente nei grandi virtuosi dello
strumento. La performance dell’ensemble dell’Accademia
Chigiana
risulta eccellente e molto ben bilanciata dalla esperta direzione di
Mauro
Bonifacio,
tra le figure più autorevoli in Italia nella diffusione della musica
del nostro tempo.
Essendo
stato eseguito in moltissimi paesi e in numerosi festival,
Luminescences
può senz’altro essere annoverato tra i brani “classici” della
contemporanea.
Dopo questo primo esempio polisistemico, indirizzato ad una compagine strumentale da ensemble ci avventuriamo verso il centro focale dell’intero album: la musica orchestrale.
Il
primo brano che incontriamo è Disappearing
rainbows
(2015)
per
orchestra da camera, scritto per commemorare i 70 anni dalla morte
del compositore ungherese Béla
Bartók
ed eseguito dall’Orchestra
Nazionale della Radio Ungherese
sotto la direzione di Gergely
Vajda.
Già
dai primi accordi iniziali ci si accorge di essere di fronte ad una
concezione del suono unica, in cui la materia sonora si liquefa e si
distorce, proprio in virtù della presenza simultanea di diversi
sistemi di intonazione.
L’orchestrazione rinuncia
all’organizzazione “per famiglie” strumentali e le varie
sezioni di cui l’orchestra è composta vivono fuse l’una
nell’altra al fine di ottenere un suono multidimensionale, a cui si
può girare attorno come ad una scultura, cangiante ogni qualvolta ci
si dispone da un punto di vista diverso. È
il compositore che sceglie per noi i luoghi di ascolto di questa
trasformazione, come un magus
che
ci catapulta in diversi stati della coscienza, per conoscere
dimensioni altre, come suggerito dallo stesso compositore nel booklet
del CD.
Vedremo poi in seguito come questa concezione “magica”
della musica tornerà, in modo molto chiaro, nell’ultimo brano
dell’album.
A fare da fil
rouge
tra le diverse sezioni del brano c’è sempre una melodia-guida, che
soddisfa tra l’altro la necessità degli ascoltatori meno esigenti.
Ma quello che è veramente interessante è ciò che succede nel
background. Basta spostare di poco l’attenzione verso quello che
tradizionalmente intendiamo come secondo piano sonoro, per rimanere
stupiti dalle sonorità che emergono dall’amalgama strumentale.
Dal
punto di vista percettivo è come se ci trovassimo di fronte ad una
trasposizione musicale delle conquiste ottenute in pittura da Francis
Bacon.
Ma il riferimento è solo da un punto di vista della tecnica, perché
la musica di Elia sposa invece tematiche di bellezza, armonia ed
eleganza, che sono molto distanti da quelle affrontate dal pittore
irlandese.
In Disappearing
rainbows il
polisistemismo si fa più maturo e si percepisce nettamente
l’incontro dei diversi sistemi d’intonazione. Il corno è spesso
utilizzato come corno naturale, con i suoi suoni armonici con
frequenze molto distanti dal temperamento equabile.
Dall’incontro
dei diversi temperamenti emerge un suono complesso e sfaccettato: la
meraviglia delle linee melodiche che una volta emerse come distinte
si gettano in un contrappunto inestricabile che mescola i timbri in
modo assolutamente originale.
E’ un lavoro visionario, dove
emerge una conoscenza precisa dell’acustica degli strumenti
musicali e della loro combinazione, il tutto sospinto da un’energia
di incredibile forza.
Vincitore della categoria
orchestrale del concorso UMZF
(Forum della Nuova Musica Ungherese)
nell’anno dedicato a Ligeti
(2013), con Peter
Eötvös
come
presidente di giuria, Dimensioni
nascoste,
già dalle prime battute, ci trasporta in quella concezione liquida
del suono tipica della musica di Alessio Elia.
Il titolo del
brano rimanda alla teoria delle stringhe, che ci offre una concezione
dell’Universo in cui oltre alle tradizionali 4 dimensioni (tre
spaziali e una temporale) esisterebbero altre 7 dimensioni in cui
queste infinitesimali filamenti unidimensionali di materia (le
stringhe per l’appunto), vibrando, darebbero origine alle
particelle elementari, che aggregandosi via via in costrutti sempre
più complessi, darebbero origine alla dimensione fisica che
conosciamo.
In modo simile Elia struttura il suo brano, partendo
da pochi suoni isolati che si ammassano l’uno sull’altro fino a
costruire aggregati sonori complessi, in cui il fenomeno
fisico-acustico (battimenti, suoni differenziali) è dominante.
Nella
complessità della tessitura appaiono spesso suoni sostenuti che
improvvisamente emergono dal tessuto cangiante dell’orchestra e si
palesano come linee melodiche portanti a cui l’ascoltare è
invitato a prestare attenzione. Si delinea così una vera e propria
traiettoria di ascolto, che chiarisce il senso formale della
costruzione musicale.
Anche nelle sezioni in cui la materia
sonora appare più statica, e dove ci si aspetterebbe una minore
complessità, il suono è estremamente ricco, fatto di incessanti
variazioni timbriche, in un gioco inarrestabile di micro-cromìe. Un
mondo sospeso che inaspettatamente crolla e si immerge in atmosfere
sonore pulsanti, riverberanti, che a loro volta iniziano ad animarsi
e a creare di nuovo tessuti cangianti dalla trama articolata e
complessa.
Dalla sezione dei suoni sospesi, passando per una
sezione con una densità di frammenti melodici dal timbro in continua
trasformazione, si precipita verso una zona d’ombra, dominata dai
suoni gravi dei contrabbassi, ottoni e legni, da cui poi si emerge
verso la luce attraverso i suoni cristallini degli armonici degli
archi e delle percussioni metalliche.
Un viaggio sonoro che,
passando per suoni ribattuti, quasi ad evocare il ticchettio di un
orologio che scandisce il passare del tempo, si conclude in una
sonorità grave, in cui, una volta ancora, il confine tra suono
intonato, rumore ed effetto è cancellato.
Dimensioni nascoste e Disappearing rainbows vengono presentati in questo CD nell’entusiasmante interpretazione dell’Orchestra della Radio Nazionale Ungherese, una prestigiosa istituzione magiara diretta in passato da figure illustri del panorama internazionale, tra cui: Claudio Abbado, Antal Doráti, Péter Eötvös, István Kertész, Karl Richter, Paul Sacher, Sir George Solti, Ádám Fischer e Leopold Stokowski. Negli ultimi anni, per l'orchestra è stato cercato un leader dinamico e innovativo, e la scelta è ricaduta sul compositore e direttore Gergely Vajda, il cui programma artistico ha posto l'accento sulla musica moderna e che dirige in modo persuasivo l’orchestra nei brani di Elia presentati in quest’album, interpretandone efficacemente il contenuto emozionale.
Implicate
Inklings,
Concerto per clarinetto e orchestra, è indubbiamente il lavoro più
complesso che troviamo in questo CD. L’invenzione timbrica continua
determina colori strumentali veramente innovativi.
L’orchestra,
nel suo carattere vorticoso, non accompagna semplicemente il solista.
Le molteplici linee colorano ed illuminano la parte del clarinetto
con luci caleidoscopiche sempre diverse. La scrittura è travolgente.
Da un magma sonoro estremamente denso di eventi emergono linee che
acquistano di volta in volta funzioni diverse, come a sottolineare
una concezione incentrata sull’idea di flusso sonoro in continua
mutazione. Dopo una prima sezione in cui l’elemento
contrappuntistico è dominante, il Concerto vira verso una sezione
lenta, in cui ancora una volta il ruolo dell’orchestra non è un
semplice sfondo sonoro, ma una luce continua e metamorfica che esalta
i tremoli del clarinetto solista. Scale e linee melodiche rapidissime
che si scavalcano e sgambettano a vicenda, sono la soluzione da cui
si volta versa una nuova sezione composta dai suoni striduli
acutissimi degli ottavini e flauti in flatterzunge, che creano ancora
una volta un’invenzione timbrica sorprendente.
Questo ponte
sonoro ci trasporta e ci fa immergere direttamente nella terza
sezione del brano in cui tutto si muove rapidamente e in cui il
solista raggiunge il registro acutissimo dello strumento per poi
intonare melodie di rara bellezza. Incastri poliritmici e polimetrici
rendono ancora più complessa questa sezione, che si stempera in
arabeschi inestricabili in cui è ancora una volta l’invenzione di
timbri inauditi a sorprendere.
Ci
si avvia verso
un’ultima sezione della prima parte del Concerto, una zona lenta in
cui il solista invece di eseguire tremoli, che avevano caratterizzano
la prima sezione lenta, si abbandona ad una melodia di grande
bellezza, che spinge tutta l’orchestra verso il registro acuto,
verso l’ultimo accordo sospeso da cui scaturirà, incorniciata da
un sottofondo di percussioni, la cadenza, scritta dal solista Csaba
Klenyán
recuperando il materiale del compositore, dove viene messa in luce
ancora una volta la grandissima abilità tecnica ed interpretativa
del clarinettista ungherese.
La cadenza termina nel registro
acutissimo dello strumento a cui si riallaccia l’orchestra con una
vera e propria ripresa della prima sezione del Concerto, come se il
clarinetto solista sentisse l’esigenza di ritornare nell’alveo
che gli ha dato origine. Sottilissime differenze nella riproposizione
del materiale di origine ci portano verso la seconda parte del
Concerto, in cui si innestano episodi nuovi che continuano però a
dialogare con gli elementi primordiali con cui il Concerto è
principiato. Reminiscenze di frammenti dedotti dalla prima parte del
Concerto (tutto il materiale prima della cadenza), ci portano alla
coda finale, introdotta dal grido acutissimo del clarinetto, cui
risponde l’orchestra che invece si inabissa nel registro
gravissimo. Restano sospesi nell’aria solamente i suoni non
intonati delle percussioni, come polvere dopo un’esplosione.
Implicate
Inklings
riassume in sé l’eccellenza della scena musicale ungherese, con un
ampio respiro internazionale. La Concerto
Budapest Orchestra,
orchestra storica della capitale ungherese che da un ventennio trova
nell’illuminata direzione artistica di András
Keller
un rinnovato splendore, si dimostra una validissima risorsa per la
diffusione della musica contemporanea in Europa, valorizzando in
prima istanza la produzione musicale dei più importanti compositori
ungheresi, di cui Elia è oramai un affermato ed importante
esponente.
L’orchestra è diretta da uno dei musicisti ungheresi più importanti a livello internazionale: il direttore d’orchestra e
percussionista Zoltán
Rácz,
fondatore del celebre gruppo di percussioni Amadinda, destinatario e
dedicatario di uno degli ultimi lavori di György
Ligeti,
Síppal,
dobbal, nádihegedűvel.
Il
clarinetto solista è affidato alla tecnica infallibile di Csaba
Klenyán,
celebre clarinettista ungherese, voce autorevole nel repertorio
contemporaneo internazionale.
Come anticipato precedentemente,
Implicate
Inklings
è il brano dell’album che ha una maggiore complessità di
scrittura e che può essere considerato un vero e proprio capolavoro
dell’arte musicale contemporanea.
Molto
bello il ritorno all’intonazione naturale nell’uso delle voci in
Celestial
Keys,
il brano che conclude e dà il titolo all’intero album. La
compagine orchestrale invece è affidata, come negli altri brani del
CD, al polisistemismo. In questo brano emerge in modo chiaro,
specialmente negli archi, la discrepanza intervallare nell’uso dei
diversi sistemi di intonazione.
In questo brano viene utilizzata
per la prima volta in forma cantata la lingua angelica, dettata
attraverso sedute di divinazione al veggente Edward
Kelley
e trascritta da John
Dee,
alchimista, astronomo, astrologo, matematico, e consigliere della
regina Elisabetta
I.
Ci
troviamo davvero in un mondo altro, sia per i contenuti del brano,
sia per l’immaginifica orchestrazione che mostra livelli di
sperimentazione timbrica di altissimo livello.
È
messa in musica la Seconda Chiave da Le
48 Chiavi Angeliche,
un testo dettato da entità angeliche, formule rituali che
aprirebbero le tavole del Libro
di Loagaeth,
il Libro
di Enoch
di John Dee, dove sarebbero racchiusi i segreti della Fine dei
Tempi.
L’uso dell’intonazione naturale nelle voci porta
consequenzialmente al recupero della modalità, reinterpretata
attraverso un ampliamento armonico complesso, che spesso esula dal
contesto scalare.
La prima sezione del brano presenta un
carattere di sospensione estatica, in cui le voci, dapprima
presentate singolarmente, si intrecciano in un contrappunto che si
ricongiunge ai madrigali cinquecenteschi, probabilmente per una sorta
di rievocazione di stampo “storicistico” inerente al periodo in
cui il testo utilizzato nel lavoro venne redatto.
Dopo un
intermezzo strumentale fa seguito la seconda sezione che ci trasporta
in un mondo onirico, dove le voci sembrano un’eco lontana di realtà
un tempo conosciute e poi dimenticate. Segue un altro breve frammento
orchestrale dopo il quale le voci riemergono nella terza sezione, la
più movimentata del brano, la cui coda riutilizza frammenti melodici
della seconda sezione.
La quarta e ultima parte del brano
rientra nelle sonorità estatiche iniziali ma stavolta utilizzando il
registro più grave delle voci di soprano che si fonde col timbro
grave dei flauti.
I suoni sospesi e sostenuti delle voci si
perdono nell’enigmatico accordo finale scandito dai suoni delle
percussioni, del pianoforte e del contrabbasso.
La
partitura è un costellata di soluzione timbriche/armoniche che,
seppur alludendo alla modalità, la superano in un gioco di sintesi
tra apparente tradizione e genuina ricerca di innovazione.
Il
brano è brillantemente realizzato dal Ligeti
Ensemble,
diretto
dal noto direttore d’orchestra e compositore László
Tihanyi,
tra le figure di maggior spicco nel panorama musicale ungherese, con
un’importante presenza nei podi delle maggiori orchestre europee e
alla guida dei maggiori ensemble consacrati alla diffusione della
musica del nostro tempo (Ensemble
Modern, Contrechamps, Musikfabrik).
Le
voci soliste, affidate a Márta
Murányi
e Judit
Szathmáry,
si distinguono per chiarezza espressiva e netta distinzione timbrica,
qualità che ben si sposano con l’esigenza quasi rinascimentale del
brano di avere voci dal suono bilanciato ed elegante.
La loro
resa interpretativa le qualifica come validissime interpreti del
repertorio moderno e contemporaneo, caratteristica consolidata da
un’ampia conoscenza degli approcci esecutivi di vari periodi
storici.
A
differenza di altri brani di Elia in cui il polisistemismo è più
estremo e viene percepito immediatamente come deformatore
frequenziale sia delle melodie che delle armonie, nei lavori presenti
in questo album esso emerge invece come trasformatore timbrico e
creatore di effetti fisico-acustici che splendidamente si integrano
nel tessuto sonoro generale.
Un
album che trova la sua perfetta dimensione all’interno di
un’etichetta discografica, la Brilliant
Classics,
che magnificamente incarna la ricerca di artisti di eccezionale
qualità ed originalità.
Lontanissimo dalle facili soluzioni di tanta musica contemporanea, che trovano nell’uso indiscriminato e sprovveduto del rumore una ragione di presunta modernità, Elia col suo polisistemismo riesce nell’impresa di estendere e continuare, ancora una volta, la grande e millenaria tradizione culturale occidentale, portandola verso risultati espressivi inediti, in cui l’eleganza e la bellezza finalmente e a gran voce ritrovano il loro diritto di esistenza, come valori imprescindibili e universali.
A.C. per Associazione Culturale Art-Waves
Booklet in Italiano: https://www.alessioelia.com/files/Alessio-Elia---Celestial-Keys---Brilliant-Classics---Booklet-ITA.pdf
Copyright photo:
Celestial keys © Gabriel Kayles 2024
Alessio
Elia© Andrea Felvégi
Celestial Keys: The Magical Sound of Alessio Elia
The latest album by Alessio Elia,
Celestial Keys, published by Brilliant Classics
in December 2024, offers an exemplary overview of the important
milestones reached by the composer through his very personal musical
language. Described as a "unicum in the compositional
panorama of our times" (Il Corriere Musicale),
Alessio Elia has achieved international visibility thanks to the
integration of different systems of intonation, a writing technique
he defined as "polysystemism," presented at
La Cité de la Musique in Paris in 2014, and
which we find, with varying degrees of complexity, in the five pieces
that make up the album.
The first thing that strikes after
listening to Elia's works is the skillful use of orchestration, which
is embodied in the way the composer reinterprets counterpoint,
conceived as a generator of timbres, in which the combinations of
sounds disintegrate the separation between the different parameters
that compose music, abolishing the boundary between sound, effect,
noise, and residual traces of acoustic phenomena. The result is music
that indeed looks at the acoustic phenomenon and integrates it within
the sonic texture, seeking its sensory aspect, inviting the listener
to a certain aesthetic abandonment.
In Luminescences,
a piece from 2005, the first example of polysystemism, the harmonic
vibrations of the strings create an ethereal, crystalline timbre,
upon which the arabesques of the clarinet stand out. It is music made
of rarefied, sidereal sonorities, aimed at exploring very high
registers.
A piece that nevertheless does not renounce melodic
expressiveness. In fact, from the initial arabesques of the clarinet
emerges a beautiful melody, in the high register of the instrument,
echoed in the next section by the cello's melody made entirely of
harmonic sounds on an ostinato in the low register of the vibraphone.
After a brief reprise of the initial material, the piece quickly
moves toward its coda, in which the clarinet searches for a new
melody, moving among few adjacent sounds on the continuous ostinatos
of the strings, but by now the material is running out, and as soon
as the strings shine in acute and sparkling sonorities, the mechanism
stops and crystallizes on a final chord that marks the conclusion of
the piece.
Wonderful and of great technical mastery is Marco
Ortolani's performance, with a beautiful sound and a timbral
homogeneity across the different registers that is heard only in the
great virtuosos of the instrument. The performance of the ensemble of
the Accademia Chigiana is excellent and very well balanced
under the expert direction of Mauro Bonifacio, one of the most
authoritative figures in Italy in promoting the music of our time.
Having been performed in many countries and numerous festivals,
Luminescences can certainly be counted among the "classics"
of contemporary music.
After this first polysystemic example,
aimed at an instrumental ensemble, we venture toward the focal center
of the entire album: orchestral music.
The first piece we
encounter is Disappearing Rainbows (2015) for chamber
orchestra, written to commemorate the 70th anniversary of the death
of Hungarian composer Béla Bartók and performed by the
Hungarian National Radio Orchestra under the baton of Gergely
Vajda.
Right from the initial chords, one realizes they are
facing a unique conception of sound, in which the sound material
liquefies and distorts, precisely due to the simultaneous presence of
different systems of intonation. The orchestration renounces
organization "by instrumental families," and the various
sections composing the orchestra merge into one another to achieve a
multidimensional sound that can be rotated around, like a sculpture,
changing every time one is positioned from a different perspective.
It is the composer who chooses for us the listening places of this
transformation, like a magus catapulting us into different
states of consciousness to experience other dimensions, as suggested
by the composer himself in the CD booklet.
We will see later
how this "magical" conception of music returns very clearly
in the last piece of the album. Serving as a thread between the
different sections of the piece is always a guiding melody, which
also satisfies the needs of less demanding listeners. But what is
truly interesting is what happens in the background. Just shift
attention slightly toward what is traditionally understood as the
second sonic plane to be amazed by the sonorities emerging from the
instrumental amalgam. From a perceptual point of view, it is as if we
were facing a musical transposition of the achievements obtained in
painting by Francis Bacon. But the reference is only from a
technical point of view, because Elia's music embraces themes of
beauty, harmony, and elegance, which are very distant from those
addressed by the Irish painter.
In Disappearing Rainbows,
polysystemism becomes more mature, and the encounter of different
systems of intonation is distinctly perceptible. The horn is often
used as a natural horn, with its harmonic sounds with frequencies
very distant from equal temperament. From the encounter of different
temperaments emerges a complex and multifaceted sound: the wonder of
melodic lines that, once emerged as distinct, plunge into
inextricable counterpoint blending timbres in an absolutely original
way. It is a visionary work, where precise knowledge of the acoustics
of musical instruments and their combination emerges, all propelled
by an energy of incredible strength.
Winner of the orchestral category of
the UMZF (Hungarian New Music Forum) competition in the year
dedicated to Ligeti (2013), with Peter Eötvös as jury
president, Dimensioni nascoste
(Hidden dimensions) from
the very first bars transports us into that liquid conception of
sound typical of Alessio Elia's music.
The title of the piece
refers to string theory, which offers us a conception of the Universe
where, in addition to the traditional 4 dimensions (three spatial and
one temporal), there would exist 7 other dimensions in which these
infinitesimal one-dimensional filaments of matter (the strings,
precisely), vibrating, give rise to elementary particles, which,
aggregating progressively into ever more complex constructs,
originate the physical dimension we know. Similarly, Elia structures
his piece, starting from few isolated sounds that pile up on one
another until building complex sound aggregates, in which the
physical-acoustic phenomenon (beats, differential sounds) is
dominant. Within the complexity of the texture, sustained tones often
appear, suddenly emerging from the orchestra's shifting fabric and
manifesting as leading melodic lines to which the listener is invited
to pay attention. Thus, a true listening trajectory is delineated,
which clarifies the formal sense of the musical construction. Even in
sections where the sound material appears more static and where one
might expect less complexity, the sound is extremely rich, made of
incessant timbral variations, in an unstoppable play of
micro-chromatics. A suspended world that unexpectedly collapses and
plunges into pulsating, reverberating soundscapes, which in turn
begin to animate and create shifting fabrics with intricate and
complex weaves. From the section of suspended sounds, passing through
a section with a density of melodic fragments with continuously
transforming timbres, we plunge into a shadowy zone dominated by the
grave sounds of double basses, brass, and woodwinds, from which we
then emerge into light through the crystalline sounds of string
harmonics and metallic percussion. A sonic journey that, passing
through repeated sounds, almost evoking the ticking of a clock
marking the passage of time, concludes in a low-pitched soundscape,
where, once again, the boundary between pitched sound, noise, and
effect is erased.
Dimensioni nascoste and Disappearing
Rainbows are presented in this CD in the thrilling
interpretation of the Hungarian National Radio Orchestra, a
prestigious Hungarian institution previously directed by illustrious
figures of the international scene, such as Claudio Abbado, Antal
Doráti, Peter Eötvös, István Kertész, Karl Richter, Paul Sacher,
Sir George Solti, Ádám Fischer, and Leopold Stokowski. In recent
years, the orchestra has sought a dynamic and innovative leader, and
the choice has fallen on the composer and conductor Gergely Vajda,
whose artistic program has emphasized modern music and who
persuasively conducts the orchestra in Elia’s pieces presented in
this album, effectively interpreting their emotional content.
Implicate Inklings, Concerto for clarinet
and orchestra, is undoubtedly the most complex work found in this CD.
The continuous timbral invention determines truly innovative
instrumental colors. The orchestra, in its whirling character, does
not simply accompany the soloist. The multiple lines color and
illuminate the clarinet’s part with ever-changing kaleidoscopic
lights. The writing is overwhelming. From a sound magma extremely
dense with events, lines emerge that assume different functions each
time, as if highlighting a conception centered on the idea of a sound
flow in continuous mutation. After an initial section where the
contrapuntal element is dominant, the Concerto turns towards a slow
section, where once again the role of the orchestra is not a simple
sonic background but a continuous and metamorphic light that enhances
the tremolos of the solo clarinet. Rapid scales and melodic lines
overtaking and tripping each other are the solution from which we
turn towards a new section composed of shrill high-pitched sounds
from piccolo and flutes in flutter-tongue, once again creating
surprising timbral invention. This sonic bridge transports and
immerses us directly into the third section of the piece where
everything moves quickly, and the soloist reaches the high register
of the instrument to then intone melodies of rare beauty.
Polyrhythmic and polymetric interlocks make this section even more
complex, which fades into inextricable arabesques where, once again,
the invention of unheard timbres surprises. We move towards the last
section of the first part of the Concerto, a slow zone where the
soloist, instead of performing tremolos that characterized the first
slow section, abandons himself to a melody of great beauty, which
pushes the entire orchestra towards the high register, towards the
final suspended chord from which the cadenza emerges, framed by a
percussion background, written by the soloist Csaba Klenyán,
retrieving the composer’s material, once again highlighting the
great technical and interpretative skill of the Hungarian
clarinetist.
The cadenza ends in the high register of the
instrument, to which the orchestra reconnects with a reprise of the
Concerto’s first section, as if the solo clarinet feels the need to
return to the soil that originated it. Subtle differences in the
representation of the original material lead us to the second part of
the Concerto, where new episodes are inserted that continue to
dialogue with the primordial elements with which the Concerto began.
Reminiscences of fragments derived from the first part of the
Concerto (the whole material before the cadenza) lead us to the final
coda, introduced by the clarinet’s high-pitched scream, to which
the orchestra responds by sinking into the low register.
Left
suspended in the air are only the unpitched sounds of the percussion,
like dust after an explosion.
Implicate Inklings
sums up the excellence of the Hungarian music scene with a broad
international resonance. The Concerto Budapest Orchestra, a
historic orchestra of the Hungarian capital, which for two decades
has found renewed splendor under András Keller’s
enlightened artistic direction, proves to be a valuable resource for
spreading contemporary music in Europe, primarily promoting the
musical production of Hungary's most important composers, of whom
Elia is now a recognized and significant representative. The
orchestra is conducted by one of Hungary’s internationally renowned
figures: the conductor and percussionist Zoltán Rácz,
founder of the famous percussion group Amadinda, recipient and
dedicatee of one of György Ligeti’s last works, Síppal,
dobbal, nádihegedűvel. The solo clarinet is entrusted to Csaba
Klenyán’s infallible technique, a famous Hungarian clarinetist
and authoritative voice in the international contemporary repertoire.
As previously mentioned, Implicate Inklings is the
piece in the album which shows the most complex writing and can be
considered a true masterpiece of contemporary musical art.
Very
beautiful is the return to natural intonation in the use of voices in
Celestial Keys, the piece that concludes and gives
the title to the entire album. The orchestral ensemble, however, is
entrusted, as in the other pieces of the CD, to polysystemism. In
this piece, the discrepancy in intervals in the use of different
intonation systems emerges clearly, especially in the strings.
This
piece introduces, for the first time in sung form, the angelic
language dictated through divination sessions to the seer Edward
Kelley and transcribed by John Dee, alchemist, astronomer,
astrologer, mathematician, and adviser to Queen Elizabeth I.
We are indeed in another world, both for the piece’s content
and for the imaginative orchestration that showcases timbral
experimentation of the highest level.
The Second Key from The
48 Angelic Keys, a text dictated by angelic entities, ritual
formulas that would open the tables of the Book of Loagaeth,
John Dee’s Book of Enoch, where the secrets of the
End of Times are believed to be contained, is set to music in this
piece.
The use of natural intonation in the voices consequently
leads to a recovery of modality, reinterpreted through a complex
harmonic expansion, often departing from the scalar context.
The
first section of the piece presents a character of ecstatic
suspension, where the voices, initially presented individually,
intertwine in counterpoint that connects to sixteenth-century
madrigals, probably due to a sort of “historicist” evocation
related to the period in which the text used in this work was
written.
After an instrumental
interlude follows the second section, which transports us to a
dreamlike world,
where the voices seem like a distant echo of realities once known and
then forgotten. Another brief orchestral fragment follows, after
which the voices reappear in the third section, the most lively
part of the piece, whose coda reuses melodic fragments from the
second section.
The fourth and final part of the piece returns
to the initial ecstatic
sonorities, but this
time using the lower
register of the soprano voices
that blends with the low
timbre of the flutes.
The suspended and
sustained sounds of the
voices fade into the enigmatic
final chord, punctuated
by the sounds of the percussion, piano, and double bass. The score is
strewn
with timbral/harmonic solutions that, while alluding to modality,
surpass it in a synthesis between apparent
tradition and genuine
pursuit of innovation.
The piece is brilliantly performed by the Ligeti
Ensemble, conducted
by the renowned conductor and composer László
Tihanyi, one of the
most prominent figures
in the Hungarian musical landscape, with an important
presence on the podiums of major European orchestras
and at the helm of the most significant ensembles dedicated to the
dissemination of contemporary music (Ensemble
Modern, Contrechamps, Musikfabrik).
The solo voices, entrusted to Márta
Murányi and Judit
Szathmáry, stand
out for their expressive
clarity and distinct
timbral definition,
qualities that align well with the piece’s almost
Renaissance-like need
for voices with a balanced
and elegant sound. Their
interpretation qualifies them as excellent
performers of the modern
and contemporary repertoire, a characteristic strengthened by a broad
knowledge of performance approaches from various historical periods.
Unlike other works by Elia, where polysystemism
is more extreme and is immediately perceived as a frequency
“distorter” of both
melodies and harmonies, in the works on this album, it instead
emerges as a timbral
transformer and creator
of physical-acoustic effects
that splendidly integrate into the overall sonic texture.
An
album that finds its perfect
dimension within a
record label like Brilliant
Classics, which
magnificently embodies the pursuit of artists of exceptional
quality and originality.
Far removed from the easy solutions of much contemporary
music, which finds a reason for presumed
modernity in the
indiscriminate and
careless use of noise,
Elia, with his polysystemism,
achieves the feat of extending and continuing, once again, the great
and millennial Western cultural tradition,
bringing it towards unprecedented
expressive results, in
which elegance
and beauty
finally and strongly reclaim their right to exist, as indispensable
and universal values.
A.C. per Associazione Culturale Art-Waves
Booklet in English: https://www.alessioelia.com/files/Alessio-Elia---Celestial-keys---Brilliant-Classics---Booklet-ENG.pdf
Copyright photo:
Celestial keys © Gabriel Kayles 2024
Alessio Elia© Andrea Felvégi
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