Scroll down for the English version

L’ultimo album di Alessio Elia, Celestial keys, pubblicato da Brilliant Classics nel dicembre del 2024, ci offre una panoramica esemplificativa degli importanti traguardi raggiunti dal compositore attraverso il suo personalissimo linguaggio musicale.

Descritto come un “unicum nel panorama compositivo dei nostri tempi” (Il Corriere musicale), Alessio Elia ha raggiunto visibilità internazionale grazie all’integrazione di diversi sistemi di intonazione, una tecnica di scrittura che ha definito “polisistemismo”, presentata a La Cité de la Musique a Parigi nel 2014, e che ritroviamo, con diversi gradi di complessità, nei cinque brani che compongono l’album.


La prima cosa che colpisce dopo aver ascoltato i lavori di Elia è l’uso sapiente dell’orchestrazione, che si incarna nel modo in cui il compositore reinterpreta il contrappunto, pensato come un generatore di timbri, in cui le combinazioni sonore disintegrano la separazione tra i diversi parametri di cui la musica si compone, abolendo il confine tra suono, effetto, rumore e tracce residue di fenomeni acustici.
Se ne ricava una musica che guarda per l’appunto al fenomeno acustico, e che lo integra all’interno del tessuto sonoro, ricercandone l’aspetto sensoriale, invitando l’ascoltatore ad un certo abbandono estetico.

In Luminescences, brano del 2005, primo esempio di polisistemismo, i vibrati di armonici degli archi creano un timbro etereo, cristallino, su cui si stagliano gli arabeschi del clarinetto.
È una musica fatta di sonorità rarefatte, siderali, volta all’esplorazione di registri acutissimi.
Un brano che non rinuncia tuttavia all’espressività melodica. Difatti dagli arabeschi iniziali del clarinetto emerge una bellissima melodia, nel registro acuto dello strumento, cui fa eco nella sezione successiva la melodia del violoncello fatta tutta di suoni armonici su un ostinato nel registro grave del vibrafono.
Dopo una breve ripresa del materiale iniziale ci si avvia rapidamente verso la coda del brano, in cui il clarinetto va alla ricerca di una nuova melodia, muovendosi tra pochi suoni attigui sui continui ostinati degli archi, ma ormai il materiale va ad esaurirsi e non appena gli archi brillano in sonorità acute e scintillanti il meccanismo si spegne e si cristallizza su un ultimo accordo che sancisce la conclusione del brano.
Meravigliosa e di grande padronanza tecnica è l’interpretazione di
Marco Ortolani, con un suono bellissimo ed una omogeneità timbrica nei diversi registri che si ascolta solamente nei grandi virtuosi dello strumento. La performance dell’ensemble dell’Accademia Chigiana risulta eccellente e molto ben bilanciata dalla esperta direzione di Mauro Bonifacio, tra le figure più autorevoli in Italia nella diffusione della musica del nostro tempo.
Essendo stato eseguito in moltissimi paesi e in numerosi festival, Luminescences può senz’altro essere annoverato tra i brani “classici” della contemporanea.

Dopo questo primo esempio polisistemico, indirizzato ad una compagine strumentale da ensemble ci avventuriamo verso il centro focale dell’intero album: la musica orchestrale.

Il primo brano che incontriamo è Disappearing rainbows (2015) per orchestra da camera, scritto per commemorare i 70 anni dalla morte del compositore ungherese Béla Bartók ed eseguito dall’Orchestra Nazionale della Radio Ungherese sotto la direzione di Gergely Vajda.
Già dai primi accordi iniziali ci si accorge di essere di fronte ad una concezione del suono unica, in cui la materia sonora si liquefa e si distorce, proprio in virtù della presenza simultanea di diversi sistemi di intonazione.
L’orchestrazione rinuncia all’organizzazione “per famiglie” strumentali e le varie sezioni di cui l’orchestra è composta vivono fuse l’una nell’altra al fine di ottenere un suono multidimensionale, a cui si può girare attorno come ad una scultura, cangiante ogni qualvolta ci si dispone da un punto di vista diverso.
È il compositore che sceglie per noi i luoghi di ascolto di questa trasformazione, come un magus che ci catapulta in diversi stati della coscienza, per conoscere dimensioni altre, come suggerito dallo stesso compositore nel booklet del CD.
Vedremo poi in seguito come questa concezione “magica” della musica tornerà, in modo molto chiaro, nell’ultimo brano dell’album.
A fare da
fil rouge tra le diverse sezioni del brano c’è sempre una melodia-guida, che soddisfa tra l’altro la necessità degli ascoltatori meno esigenti. Ma quello che è veramente interessante è ciò che succede nel background. Basta spostare di poco l’attenzione verso quello che tradizionalmente intendiamo come secondo piano sonoro, per rimanere stupiti dalle sonorità che emergono dall’amalgama strumentale.
Dal punto di vista percettivo è come se ci trovassimo di fronte ad una trasposizione musicale delle conquiste ottenute in pittura da
Francis Bacon. Ma il riferimento è solo da un punto di vista della tecnica, perché la musica di Elia sposa invece tematiche di bellezza, armonia ed eleganza, che sono molto distanti da quelle affrontate dal pittore irlandese.
In
Disappearing rainbows il polisistemismo si fa più maturo e si percepisce nettamente l’incontro dei diversi sistemi d’intonazione. Il corno è spesso utilizzato come corno naturale, con i suoi suoni armonici con frequenze molto distanti dal temperamento equabile.
Dall’incontro dei diversi temperamenti emerge un suono complesso e sfaccettato: la meraviglia delle linee melodiche che una volta emerse come distinte si gettano in un contrappunto inestricabile che mescola i timbri in modo assolutamente originale.
E’ un lavoro visionario, dove emerge una conoscenza precisa dell’acustica degli strumenti musicali e della loro combinazione, il tutto sospinto da un’energia di incredibile forza.




Vincitore della categoria orchestrale del concorso
UMZF (Forum della Nuova Musica Ungherese) nell’anno dedicato a Ligeti (2013), con Peter Eötvös come presidente di giuria, Dimensioni nascoste, già dalle prime battute, ci trasporta in quella concezione liquida del suono tipica della musica di Alessio Elia.
Il titolo del brano rimanda alla teoria delle stringhe, che ci offre una concezione dell’Universo in cui oltre alle tradizionali 4 dimensioni (tre spaziali e una temporale) esisterebbero altre 7 dimensioni in cui queste infinitesimali filamenti unidimensionali di materia (le stringhe per l’appunto), vibrando, darebbero origine alle particelle elementari, che aggregandosi via via in costrutti sempre più complessi, darebbero origine alla dimensione fisica che conosciamo.
In modo simile Elia struttura il suo brano, partendo da pochi suoni isolati che si ammassano l’uno sull’altro fino a costruire aggregati sonori complessi, in cui il fenomeno fisico-acustico (battimenti, suoni differenziali) è dominante.
Nella complessità della tessitura appaiono spesso suoni sostenuti che improvvisamente emergono dal tessuto cangiante dell’orchestra e si palesano come linee melodiche portanti a cui l’ascoltare è invitato a prestare attenzione. Si delinea così una vera e propria traiettoria di ascolto, che chiarisce il senso formale della costruzione musicale.
Anche nelle sezioni in cui la materia sonora appare più statica, e dove ci si aspetterebbe una minore complessità, il suono è estremamente ricco, fatto di incessanti variazioni timbriche, in un gioco inarrestabile di micro-cromìe. Un mondo sospeso che inaspettatamente crolla e si immerge in atmosfere sonore pulsanti, riverberanti, che a loro volta iniziano ad animarsi e a creare di nuovo tessuti cangianti dalla trama articolata e complessa.
Dalla sezione dei suoni sospesi, passando per una sezione con una densità di frammenti melodici dal timbro in continua trasformazione, si precipita verso una zona d’ombra, dominata dai suoni gravi dei contrabbassi, ottoni e legni, da cui poi si emerge verso la luce attraverso i suoni cristallini degli armonici degli archi e delle percussioni metalliche.
Un viaggio sonoro che, passando per suoni ribattuti, quasi ad evocare il ticchettio di un orologio che scandisce il passare del tempo, si conclude in una sonorità grave, in cui, una volta ancora, il confine tra suono intonato, rumore ed effetto è cancellato.

Dimensioni nascoste e Disappearing rainbows vengono presentati in questo CD nell’entusiasmante interpretazione dell’Orchestra della Radio Nazionale Ungherese, una prestigiosa istituzione magiara diretta in passato da figure illustri del panorama internazionale, tra cui: Claudio Abbado, Antal Doráti, Péter Eötvös, István Kertész, Karl Richter, Paul Sacher, Sir George Solti, Ádám Fischer e Leopold Stokowski. Negli ultimi anni, per l'orchestra è stato cercato un leader dinamico e innovativo, e la scelta è ricaduta sul compositore e direttore Gergely Vajda, il cui programma artistico ha posto l'accento sulla musica moderna e che dirige in modo persuasivo l’orchestra nei brani di Elia presentati in quest’album, interpretandone efficacemente il contenuto emozionale.

Implicate Inklings, Concerto per clarinetto e orchestra, è indubbiamente il lavoro più complesso che troviamo in questo CD. L’invenzione timbrica continua determina colori strumentali veramente innovativi.
L’orchestra, nel suo carattere vorticoso, non accompagna semplicemente il solista. Le molteplici linee colorano ed illuminano la parte del clarinetto con luci caleidoscopiche sempre diverse. La scrittura è travolgente. Da un magma sonoro estremamente denso di eventi emergono linee che acquistano di volta in volta funzioni diverse, come a sottolineare una concezione incentrata sull’idea di flusso sonoro in continua mutazione. Dopo una prima sezione in cui l’elemento contrappuntistico è dominante, il Concerto vira verso una sezione lenta, in cui ancora una volta il ruolo dell’orchestra non è un semplice sfondo sonoro, ma una luce continua e metamorfica che esalta i tremoli del clarinetto solista. Scale e linee melodiche rapidissime che si scavalcano e sgambettano a vicenda, sono la soluzione da cui si volta versa una nuova sezione composta dai suoni striduli acutissimi degli ottavini e flauti in flatterzunge, che creano ancora una volta un’invenzione timbrica sorprendente.
Questo ponte sonoro ci trasporta e ci fa immergere direttamente nella terza sezione del brano in cui tutto si muove rapidamente e in cui il solista raggiunge il registro acutissimo dello strumento per poi intonare melodie di rara bellezza. Incastri poliritmici e polimetrici rendono ancora più complessa questa sezione, che si stempera in arabeschi inestricabili in cui è ancora una volta l’invenzione di timbri inauditi a sorprendere.
Ci si avvia verso un’ultima sezione della prima parte del Concerto, una zona lenta in cui il solista invece di eseguire tremoli, che avevano caratterizzano la prima sezione lenta, si abbandona ad una melodia di grande bellezza, che spinge tutta l’orchestra verso il registro acuto, verso l’ultimo accordo sospeso da cui scaturirà, incorniciata da un sottofondo di percussioni, la cadenza, scritta dal solista Csaba Klenyán recuperando il materiale del compositore, dove viene messa in luce ancora una volta la grandissima abilità tecnica ed interpretativa del clarinettista ungherese.
La cadenza termina nel registro acutissimo dello strumento a cui si riallaccia l’orchestra con una vera e propria ripresa della prima sezione del Concerto, come se il clarinetto solista sentisse l’esigenza di ritornare nell’alveo che gli ha dato origine. Sottilissime differenze nella riproposizione del materiale di origine ci portano verso la seconda parte del Concerto, in cui si innestano episodi nuovi che continuano però a dialogare con gli elementi primordiali con cui il Concerto è principiato. Reminiscenze di frammenti dedotti dalla prima parte del Concerto (tutto il materiale prima della cadenza), ci portano alla coda finale, introdotta dal grido acutissimo del clarinetto, cui risponde l’orchestra che invece si inabissa nel registro gravissimo. Restano sospesi nell’aria solamente i suoni non intonati delle percussioni, come polvere dopo un’esplosione.

Implicate Inklings riassume in sé l’eccellenza della scena musicale ungherese, con un ampio respiro internazionale. La Concerto Budapest Orchestra, orchestra storica della capitale ungherese che da un ventennio trova nell’illuminata direzione artistica di András Keller un rinnovato splendore, si dimostra una validissima risorsa per la diffusione della musica contemporanea in Europa, valorizzando in prima istanza la produzione musicale dei più importanti compositori ungheresi, di cui Elia è oramai un affermato ed importante esponente.
L’orchestra è diretta da uno dei musicisti ungheresi più importanti a livello internazionale: il direttore d’orchestra e percussionista
Zoltán Rácz, fondatore del celebre gruppo di percussioni Amadinda, destinatario e dedicatario di uno degli ultimi lavori di György Ligeti, Síppal, dobbal, nádihegedűvel.
Il clarinetto solista è affidato alla tecnica infallibile di
Csaba Klenyán, celebre clarinettista ungherese, voce autorevole nel repertorio contemporaneo internazionale.
Come anticipato precedentemente,
Implicate Inklings è il brano dell’album che ha una maggiore complessità di scrittura e che può essere considerato un vero e proprio capolavoro dell’arte musicale contemporanea.

Molto bello il ritorno all’intonazione naturale nell’uso delle voci in Celestial Keys, il brano che conclude e dà il titolo all’intero album. La compagine orchestrale invece è affidata, come negli altri brani del CD, al polisistemismo. In questo brano emerge in modo chiaro, specialmente negli archi, la discrepanza intervallare nell’uso dei diversi sistemi di intonazione.
In questo brano viene utilizzata per la prima volta in forma cantata la lingua angelica, dettata attraverso sedute di divinazione al veggente
Edward Kelley e trascritta da John Dee, alchimista, astronomo, astrologo, matematico, e consigliere della regina Elisabetta I.
Ci troviamo davvero in un mondo altro, sia per i contenuti del brano, sia per l’immaginifica orchestrazione che mostra livelli di sperimentazione timbrica di altissimo livello.
È messa in musica la Seconda Chiave da Le 48 Chiavi Angeliche, un testo dettato da entità angeliche, formule rituali che aprirebbero le tavole del Libro di Loagaeth, il Libro di Enoch di John Dee, dove sarebbero racchiusi i segreti della Fine dei Tempi.
L’uso dell’intonazione naturale nelle voci porta consequenzialmente al recupero della modalità, reinterpretata attraverso un ampliamento armonico complesso, che spesso esula dal contesto scalare.
La prima sezione del brano presenta un carattere di sospensione estatica, in cui le voci, dapprima presentate singolarmente, si intrecciano in un contrappunto che si ricongiunge ai madrigali cinquecenteschi, probabilmente per una sorta di rievocazione di stampo “storicistico” inerente al periodo in cui il testo utilizzato nel lavoro venne redatto.
Dopo un intermezzo strumentale fa seguito la seconda sezione che ci trasporta in un mondo onirico, dove le voci sembrano un’eco lontana di realtà un tempo conosciute e poi dimenticate. Segue un altro breve frammento orchestrale dopo il quale le voci riemergono nella terza sezione, la più movimentata del brano, la cui coda riutilizza frammenti melodici della seconda sezione.
La quarta e ultima parte del brano rientra nelle sonorità estatiche iniziali ma stavolta utilizzando il registro più grave delle voci di soprano che si fonde col timbro grave dei flauti.
I suoni sospesi e sostenuti delle voci si perdono nell’enigmatico accordo finale scandito dai suoni delle percussioni, del pianoforte e del contrabbasso.
La partitura è un costellata di soluzione timbriche/armoniche che, seppur alludendo alla modalità, la superano in un gioco di sintesi tra apparente tradizione e genuina ricerca di innovazione.
Il brano è brillantemente realizzato dal
Ligeti Ensemble, diretto dal noto direttore d’orchestra e compositore László Tihanyi, tra le figure di maggior spicco nel panorama musicale ungherese, con un’importante presenza nei podi delle maggiori orchestre europee e alla guida dei maggiori ensemble consacrati alla diffusione della musica del nostro tempo (Ensemble Modern, Contrechamps, Musikfabrik).
Le voci soliste, affidate a
Márta Murányi e Judit Szathmáry, si distinguono per chiarezza espressiva e netta distinzione timbrica, qualità che ben si sposano con l’esigenza quasi rinascimentale del brano di avere voci dal suono bilanciato ed elegante.
La loro resa interpretativa le qualifica come validissime interpreti del repertorio moderno e contemporaneo, caratteristica consolidata da un’ampia conoscenza degli approcci esecutivi di vari periodi storici.

A differenza di altri brani di Elia in cui il polisistemismo è più estremo e viene percepito immediatamente come deformatore frequenziale sia delle melodie che delle armonie, nei lavori presenti in questo album esso emerge invece come trasformatore timbrico e creatore di effetti fisico-acustici che splendidamente si integrano nel tessuto sonoro generale.
Un album che trova la sua perfetta dimensione all’interno di un’etichetta discografica, la Brilliant Classics, che magnificamente incarna la ricerca di artisti di eccezionale qualità ed originalità.

Lontanissimo dalle facili soluzioni di tanta musica contemporanea, che trovano nell’uso indiscriminato e sprovveduto del rumore una ragione di presunta modernità, Elia col suo polisistemismo riesce nell’impresa di estendere e continuare, ancora una volta, la grande e millenaria tradizione culturale occidentale, portandola verso risultati espressivi inediti, in cui l’eleganza e la bellezza finalmente e a gran voce ritrovano il loro diritto di esistenza, come valori imprescindibili e universali.


A.C. per Associazione Culturale Art-Waves

Booklet in Italiano: https://www.alessioelia.com/files/Alessio-Elia---Celestial-Keys---Brilliant-Classics---Booklet-ITA.pdf

Copyright photo:

Celestial keys © Gabriel Kayles 2024

Alessio Elia© Andrea Felvégi



Celestial Keys: The Magical Sound of Alessio Elia

The latest album by Alessio Elia, Celestial Keys, published by Brilliant Classics in December 2024, offers an exemplary overview of the important milestones reached by the composer through his very personal musical language. Described as a "unicum in the compositional panorama of our times" (Il Corriere Musicale), Alessio Elia has achieved international visibility thanks to the integration of different systems of intonation, a writing technique he defined as "polysystemism," presented at La Cité de la Musique in Paris in 2014, and which we find, with varying degrees of complexity, in the five pieces that make up the album.
The first thing that strikes after listening to Elia's works is the skillful use of orchestration, which is embodied in the way the composer reinterprets counterpoint, conceived as a generator of timbres, in which the combinations of sounds disintegrate the separation between the different parameters that compose music, abolishing the boundary between sound, effect, noise, and residual traces of acoustic phenomena. The result is music that indeed looks at the acoustic phenomenon and integrates it within the sonic texture, seeking its sensory aspect, inviting the listener to a certain aesthetic abandonment.
In Luminescences, a piece from 2005, the first example of polysystemism, the harmonic vibrations of the strings create an ethereal, crystalline timbre, upon which the arabesques of the clarinet stand out. It is music made of rarefied, sidereal sonorities, aimed at exploring very high registers.
A piece that nevertheless does not renounce melodic expressiveness. In fact, from the initial arabesques of the clarinet emerges a beautiful melody, in the high register of the instrument, echoed in the next section by the cello's melody made entirely of harmonic sounds on an ostinato in the low register of the vibraphone. After a brief reprise of the initial material, the piece quickly moves toward its coda, in which the clarinet searches for a new melody, moving among few adjacent sounds on the continuous ostinatos of the strings, but by now the material is running out, and as soon as the strings shine in acute and sparkling sonorities, the mechanism stops and crystallizes on a final chord that marks the conclusion of the piece.
Wonderful and of great technical mastery is Marco Ortolani's performance, with a beautiful sound and a timbral homogeneity across the different registers that is heard only in the great virtuosos of the instrument. The performance of the ensemble of the Accademia Chigiana is excellent and very well balanced under the expert direction of Mauro Bonifacio, one of the most authoritative figures in Italy in promoting the music of our time.
Having been performed in many countries and numerous festivals, Luminescences can certainly be counted among the "classics" of contemporary music.
After this first polysystemic example, aimed at an instrumental ensemble, we venture toward the focal center of the entire album: orchestral music.
The first piece we encounter is Disappearing Rainbows (2015) for chamber orchestra, written to commemorate the 70th anniversary of the death of Hungarian composer Béla Bartók and performed by the Hungarian National Radio Orchestra under the baton of Gergely Vajda.
Right from the initial chords, one realizes they are facing a unique conception of sound, in which the sound material liquefies and distorts, precisely due to the simultaneous presence of different systems of intonation. The orchestration renounces organization "by instrumental families," and the various sections composing the orchestra merge into one another to achieve a multidimensional sound that can be rotated around, like a sculpture, changing every time one is positioned from a different perspective. It is the composer who chooses for us the listening places of this transformation, like a magus catapulting us into different states of consciousness to experience other dimensions, as suggested by the composer himself in the CD booklet.
We will see later how this "magical" conception of music returns very clearly in the last piece of the album. Serving as a thread between the different sections of the piece is always a guiding melody, which also satisfies the needs of less demanding listeners. But what is truly interesting is what happens in the background. Just shift attention slightly toward what is traditionally understood as the second sonic plane to be amazed by the sonorities emerging from the instrumental amalgam. From a perceptual point of view, it is as if we were facing a musical transposition of the achievements obtained in painting by Francis Bacon. But the reference is only from a technical point of view, because Elia's music embraces themes of beauty, harmony, and elegance, which are very distant from those addressed by the Irish painter.
In Disappearing Rainbows, polysystemism becomes more mature, and the encounter of different systems of intonation is distinctly perceptible. The horn is often used as a natural horn, with its harmonic sounds with frequencies very distant from equal temperament. From the encounter of different temperaments emerges a complex and multifaceted sound: the wonder of melodic lines that, once emerged as distinct, plunge into inextricable counterpoint blending timbres in an absolutely original way. It is a visionary work, where precise knowledge of the acoustics of musical instruments and their combination emerges, all propelled by an energy of incredible strength.



Winner of the orchestral category of the UMZF (Hungarian New Music Forum) competition in the year dedicated to Ligeti (2013), with Peter Eötvös as jury president, Dimensioni nascoste (Hidden dimensions) from the very first bars transports us into that liquid conception of sound typical of Alessio Elia's music.
The title of the piece refers to string theory, which offers us a conception of the Universe where, in addition to the traditional 4 dimensions (three spatial and one temporal), there would exist 7 other dimensions in which these infinitesimal one-dimensional filaments of matter (the strings, precisely), vibrating, give rise to elementary particles, which, aggregating progressively into ever more complex constructs, originate the physical dimension we know. Similarly, Elia structures his piece, starting from few isolated sounds that pile up on one another until building complex sound aggregates, in which the physical-acoustic phenomenon (beats, differential sounds) is dominant. Within the complexity of the texture, sustained tones often appear, suddenly emerging from the orchestra's shifting fabric and manifesting as leading melodic lines to which the listener is invited to pay attention. Thus, a true listening trajectory is delineated, which clarifies the formal sense of the musical construction. Even in sections where the sound material appears more static and where one might expect less complexity, the sound is extremely rich, made of incessant timbral variations, in an unstoppable play of micro-chromatics. A suspended world that unexpectedly collapses and plunges into pulsating, reverberating soundscapes, which in turn begin to animate and create shifting fabrics with intricate and complex weaves. From the section of suspended sounds, passing through a section with a density of melodic fragments with continuously transforming timbres, we plunge into a shadowy zone dominated by the grave sounds of double basses, brass, and woodwinds, from which we then emerge into light through the crystalline sounds of string harmonics and metallic percussion. A sonic journey that, passing through repeated sounds, almost evoking the ticking of a clock marking the passage of time, concludes in a low-pitched soundscape, where, once again, the boundary between pitched sound, noise, and effect is erased.
Dimensioni nascoste and Disappearing Rainbows are presented in this CD in the thrilling interpretation of the Hungarian National Radio Orchestra, a prestigious Hungarian institution previously directed by illustrious figures of the international scene, such as Claudio Abbado, Antal Doráti, Peter Eötvös, István Kertész, Karl Richter, Paul Sacher, Sir George Solti, Ádám Fischer, and Leopold Stokowski. In recent years, the orchestra has sought a dynamic and innovative leader, and the choice has fallen on the composer and conductor Gergely Vajda, whose artistic program has emphasized modern music and who persuasively conducts the orchestra in Elia’s pieces presented in this album, effectively interpreting their emotional content.

Implicate Inklings, Concerto for clarinet and orchestra, is undoubtedly the most complex work found in this CD. The continuous timbral invention determines truly innovative instrumental colors. The orchestra, in its whirling character, does not simply accompany the soloist. The multiple lines color and illuminate the clarinet’s part with ever-changing kaleidoscopic lights. The writing is overwhelming. From a sound magma extremely dense with events, lines emerge that assume different functions each time, as if highlighting a conception centered on the idea of a sound flow in continuous mutation. After an initial section where the contrapuntal element is dominant, the Concerto turns towards a slow section, where once again the role of the orchestra is not a simple sonic background but a continuous and metamorphic light that enhances the tremolos of the solo clarinet. Rapid scales and melodic lines overtaking and tripping each other are the solution from which we turn towards a new section composed of shrill high-pitched sounds from piccolo and flutes in flutter-tongue, once again creating surprising timbral invention. This sonic bridge transports and immerses us directly into the third section of the piece where everything moves quickly, and the soloist reaches the high register of the instrument to then intone melodies of rare beauty. Polyrhythmic and polymetric interlocks make this section even more complex, which fades into inextricable arabesques where, once again, the invention of unheard timbres surprises. We move towards the last section of the first part of the Concerto, a slow zone where the soloist, instead of performing tremolos that characterized the first slow section, abandons himself to a melody of great beauty, which pushes the entire orchestra towards the high register, towards the final suspended chord from which the cadenza emerges, framed by a percussion background, written by the soloist Csaba Klenyán, retrieving the composer’s material, once again highlighting the great technical and interpretative skill of the Hungarian clarinetist.
The cadenza ends in the high register of the instrument, to which the orchestra reconnects with a reprise of the Concerto’s first section, as if the solo clarinet feels the need to return to the soil that originated it. Subtle differences in the representation of the original material lead us to the second part of the Concerto, where new episodes are inserted that continue to dialogue with the primordial elements with which the Concerto began. Reminiscences of fragments derived from the first part of the Concerto (the whole material before the cadenza) lead us to the final coda, introduced by the clarinet’s high-pitched scream, to which the orchestra responds by sinking into the low register.
Left suspended in the air are only the unpitched sounds of the percussion, like dust after an explosion.
Implicate Inklings sums up the excellence of the Hungarian music scene with a broad international resonance. The Concerto Budapest Orchestra, a historic orchestra of the Hungarian capital, which for two decades has found renewed splendor under András Keller’s enlightened artistic direction, proves to be a valuable resource for spreading contemporary music in Europe, primarily promoting the musical production of Hungary's most important composers, of whom Elia is now a recognized and significant representative. The orchestra is conducted by one of Hungary’s internationally renowned figures: the conductor and percussionist Zoltán Rácz, founder of the famous percussion group Amadinda, recipient and dedicatee of one of György Ligeti’s last works, Síppal, dobbal, nádihegedűvel. The solo clarinet is entrusted to Csaba Klenyán’s infallible technique, a famous Hungarian clarinetist and authoritative voice in the international contemporary repertoire.
As previously mentioned, Implicate Inklings is the piece in the album which shows the most complex writing and can be considered a true masterpiece of contemporary musical art.



Very beautiful is the return to natural intonation in the use of voices in Celestial Keys, the piece that concludes and gives the title to the entire album. The orchestral ensemble, however, is entrusted, as in the other pieces of the CD, to polysystemism. In this piece, the discrepancy in intervals in the use of different intonation systems emerges clearly, especially in the strings.
This piece introduces, for the first time in sung form, the angelic language dictated through divination sessions to the seer Edward Kelley and transcribed by John Dee, alchemist, astronomer, astrologer, mathematician, and adviser to Queen Elizabeth I.
We are indeed in another world, both for the piece’s content and for the imaginative orchestration that showcases timbral experimentation of the highest level.
The Second Key from The 48 Angelic Keys, a text dictated by angelic entities, ritual formulas that would open the tables of the Book of Loagaeth, John Dee’s Book of Enoch, where the secrets of the End of Times are believed to be contained, is set to music in this piece.
The use of natural intonation in the voices consequently leads to a recovery of modality, reinterpreted through a complex harmonic expansion, often departing from the scalar context.
The first section of the piece presents a character of ecstatic suspension, where the voices, initially presented individually, intertwine in counterpoint that connects to sixteenth-century madrigals, probably due to a sort of “historicist” evocation related to the period in which the text used in this work was written.
After an instrumental interlude follows the second section, which transports us to a dreamlike world, where the voices seem like a distant echo of realities once known and then forgotten. Another brief orchestral fragment follows, after which the voices reappear in the third section, the most lively part of the piece, whose coda reuses melodic fragments from the second section.
The fourth and final part of the piece returns to the
initial ecstatic sonorities, but this time using the lower register of the soprano voices that blends with the low timbre of the flutes. The suspended and sustained sounds of the voices fade into the enigmatic final chord, punctuated by the sounds of the percussion, piano, and double bass. The score is strewn with timbral/harmonic solutions that, while alluding to modality, surpass it in a synthesis between apparent tradition and genuine pursuit of innovation.
The piece is brilliantly performed by the
Ligeti Ensemble, conducted by the renowned conductor and composer László Tihanyi, one of the most prominent figures in the Hungarian musical landscape, with an important presence on the podiums of major European orchestras and at the helm of the most significant ensembles dedicated to the dissemination of contemporary music (Ensemble Modern, Contrechamps, Musikfabrik).
The solo voices, entrusted to
Márta Murányi and Judit Szathmáry, stand out for their expressive clarity and distinct timbral definition, qualities that align well with the piece’s almost Renaissance-like need for voices with a balanced and elegant sound. Their interpretation qualifies them as excellent performers of the modern and contemporary repertoire, a characteristic strengthened by a broad knowledge of performance approaches from various historical periods.

Unlike other works by Elia, where
polysystemism is more extreme and is immediately perceived as a frequency “distorter” of both melodies and harmonies, in the works on this album, it instead emerges as a timbral transformer and creator of physical-acoustic effects that splendidly integrate into the overall sonic texture.

An album that finds its
perfect dimension within a record label like Brilliant Classics, which magnificently embodies the pursuit of artists of exceptional quality and originality.

Far removed from the easy solutions of much contemporary music, which finds a reason for
presumed modernity in the indiscriminate and careless use of noise, Elia, with his polysystemism, achieves the feat of extending and continuing, once again, the great and millennial Western cultural tradition, bringing it towards unprecedented expressive results, in which elegance and beauty finally and strongly reclaim their right to exist, as indispensable and universal values.

A.C. per Associazione Culturale Art-Waves

Booklet in English: https://www.alessioelia.com/files/Alessio-Elia---Celestial-keys---Brilliant-Classics---Booklet-ENG.pdf

Copyright photo:

Celestial keys © Gabriel Kayles 2024

Alessio Elia© Andrea Felvégi


SHARE 0 comments

Add your comment

COPYRIGHT © Art-Waves e-magazine · THEME BY WATDESIGNEXPRESS