Incontriamo Luca Fol, polistrumentista e cantautore eclettico, vincitore del secondo premio di “CALL for LIVE – Music Festival” che ha saputo distinguersi tra i tanti partecipanti provenienti da tutta Italia.

Classe 1994, ha all’attivo già due album in inglese che rievocano atmosfere tra i Beatles e la musica elettronica. Ha calcato i palchi di numerose kermesse di prestigio quali: Musicultura, Premio Bruno Lauzi, Il Tenco Ascolta (Club Tenco - Premio Tenco). 

Dal 2020 Luca ha iniziato a scrivere i suoi testi in italiano, brani a metà tra electro-pop e cantautorato, un sound caratterizzato da sintetizzatori pungenti, chitarre frizzanti e animo synth-pop. Nel 2021 escono i primi singoli "Io sono meno inglese di thè" e "L'educazione" seguiti da un tour promozionale nei club, nei teatri e nei festival estivi, oltre che da un’esperienza ad X-Factor (2022). 

Luca Fol nelle sue canzoni parla di umanità e di perseverante ricerca del proprio equilibrio sociale e spirituale. Attualmente è in lavorazione il suo secondo album. Seguiteci per scoprire i messaggi racchiusi nella sua musica.

Domanda iniziale per conoscerti un po’ di più: chi è Luca Fol? Raccontaci il tuo percorso artistico, gli studi, la storia della strada che hai percorso nel tempo alla ricerca della tua identità e come ti sei avvicinato alla musica in generale.

Grazie per la scheda di presentazione, è un piacere. Nasco nel 1994 e la grande curiosità verso la musica nasce nei primi anni del 2000 attraverso quel contenitore vasto ed ultra-colorato chiamato MTV, dove il videoclip e le canzoni erano la vera colonna sonora dell’infanzia.
Dopo un corso di batteria della durata di due anni inizio a suonare in gruppi (piccole band formate con amici) che mi permettono di vivere le prime esperienze live: dal piccolo concerto del bar, alle prime situazioni in cui si capisce come interfacciarsi e rapportarsi con il fonico e tecnici di palco. 
Tra il 2012 e il 2015 dopo esperienze come chitarrista in altre formazioni, inizio a dedicarmi alla scrittura di brani personali accompagnato da Antonio Patanè, produttore artistico che tuttora mi segue.
Ho pubblicato due album in lingua inglese (“Flower” e “Mother Goes Plastic”), uno in italiano “Io sono meno inglese di thè” e al momento stiamo lavorando al nuovo lavoro in uscita nel 2024.


Quando e come hai capito di voler scrivere canzoni tue?

Nell’estate del 2015 ero in un grande momento di estasi musicale: da una parte immerso negli anni ‘60, da un ascolto molto legato ai Beatles, Who, Velvet Underground, Cream, ecc. e dall’altra nella musica elettronica, post-rock, garage-rock.
Questo turbinio di influenze musicali mi ha stimolato a tal punto di intraprendere un percorso solista con lo pseudonimo di Lùcafall e a registrare con il produttore Antonio Patanè il primo album della mia vita “Flower”, scritto in lingua inglese e pubblicato nel 2016 (ispirato fortemente al pop rock anni ‘60), che considero tuttora un biglietto da visita di brani scritti in epoca giovanile, senza una vera direzione musicale precisa.
Una prima forma di identità penso di averla ottenuta invece con l’album successivo “Mother Goes Plastic” (2018), ricco di sonorità elettroniche e più contemporanee.
Quando ho capito che però potevo esprimermi liberamente e in modo più sincero in lingua italiana, il nome d’arte cambia ufficialmente in Luca Fol, con il nuovo capitolo rappresentato dall’album “Io sono meno inglese di thè” pubblicato nel 2022.


Le tue influenze musicali arrivano dagli anni ‘60 e dalla scena italiana underground di fine anni ‘90. In che misura queste correnti hanno contaminato la tua vena compositiva? 

Gli anni ‘60 sono stati linfa vitale per me, mi hanno condotto alla passione verso gli strumenti acustici: chitarra, basso e batteria, ma ancora di più ad amare visceralmente cori e armonizzazioni vocali, non solo derivanti dai Beatles, ma anche da Beach Boys, Crosby Stills Nash, Kinks, Yardbirds.
Quando invece ho iniziato ad approfondire la musica italiana, dal cantautorato anni ‘60 alla nuova scena indie-pop attuale, ho iniziato a rispecchiarmi principalmente nel linguaggio testuale e musicale della scena elettro-rock/elettro-pop anni ‘90: Bluvertigo, Soerba, Subsonica, ma successivamente anche Baustelle, Lucio Corsi.
Alcuni degli album fondamentali sono stati: Cream – Disraeli Gears, Beach Boys – Pet Sounds, Fatboy Slim – You’ve come a long way baby, Soerba – Playback, Franco Battiato – Come un cammello in una grondaia.


Possiamo dire che da uno stile prevalentemente ispirato ad atmosfere inglesi, con particolari riferimenti ai Beatles, sei passato più recentemente al genere electro-pop. Come è avvenuta questa evoluzione sonora? Cosa ti ha portato verso questo cambio di stile?

L’amore verso l’electro pop è avvenuto gradualmente. Grazie ai Kraftwerk entrai in un mondo cupo, nuovo e stimolante, che mi portò poi ad approfondire la scena new wave anni ‘80 e a prendere grande ispirazione da band come Japan, Visage, Talking Heads, Depeche Mode.
Questo nuovo capitolo mi permise di affacciarmi più consapevolmente al mondo dei sintetizzatori e a una modalità compositiva inedita che prima non avevo mai sperimentato tramite l’utilizzo di chitarra o pianoforte. 
L’universo dei synth ha stravolto la mia idea di fare musica. L’equilibrio tra il digitale e l’analogico credo sia un punto d’equilibrio fenomenale per ottenere risultati entusiasmanti.


Il 30 Settembre per l’evento “CALL for LIVE – Music Festival” salirai sullo stesso palco di Andy Bluvertigo, che sappiamo essere un tuo riferimento e fonte di ispirazione molto importante.  Che sensazioni hai provato quando te lo abbiamo comunicato? 

I Bluvertigo sono un punto di riferimento importantissimo. Insieme alla poetica di Franco Battiato, è la loro musica e il loro linguaggio che mi ha portato a scrivere in lingua italiana, a giocare con i testi ironici e a non avere paura di osare ad inserire nella propria musica tutti gli elementi sonori che ci rappresentano, viaggiando anche da un genere all’altro, mantenendo però la credibilità.
Sono quindi dei maestri per me, da ogni punto di vista: musicale-letterario, estetico e filosofico. 
Per me è un onore suonare prima di Andy, una soddisfazione infinita!


Hai dichiarato che la lingua italiana ti ha portato ad avere maggiore libertà espressiva e ad instaurare un rapporto più forte con il pubblico. In effetti in questo modo hai la possibilità di arrivare con immediatezza ai messaggi contenuti nei tuoi testi. Credi che avvicinare i giovani alla riflessione di tematiche esistenziali e spirituali con ironia, come fai tu, possa essere utile anche per “salvare” un po’ la musica nel nostro paese? Voglio dire, oggi è presente veramente poca melodia, il contenuto di ciò che siamo abituati ad ascoltare in radio è povero, si sfornano canzoni continuamente e c’è attenzione in gran parte rivolta ai tormentoni, all’orecchiabilità, a volte nemmeno quella...
Secondo te cosa è successo in tutti questi anni? Si sono persi di vista i valori dell’Arte musicale? Si è persa la capacità di creare? Non si è più abituati a pensare? Come immagini il futuro del panorama musicale italiano?

La lingua italiana mi ha portato non solo ad avere più credibilità davanti al pubblico, ma ad esprimermi anche con molto più divertimento. Mi piace l’ironia, l’autoironia e a volte utilizzare dei termini bizzarri e atipici mi attrae molto.
Quello che mi preme maggiormente però è il poter riflettere sulla società in cui vivo ed analizzarla meticolosamente. Mi interessa parlare dell’empatia che si instaura tra le persone o del più totale annichilimento che tende invece ad isolarci. I testi che scrivo rappresentano la mia volontà di trovare un equilibrio spirituale e sociale.
Sono un grande amante del pop, perciò non mi disturba quando c’è del lavoro per garantire l’orecchiabilità ai brani. Bisogna chiaramente saper distinguere la genialità di un buon brano pop da una canzone che squallidamente vuole entrare di prepotenza nelle orecchie delle persone.
Credo fortemente che per scrivere canzoni, produrle ed arrangiarle al meglio ci debba essere la competenza e lo studio a partire dalla teoria musicale e dall’armonia. Forse quello che manca in tanta musica maistream è proprio la mancanza di una vera padronanza musicale che scaturisce prodotti sterili. La facilità dell’home recording ha portato vantaggi incredibili ed è sicuramente confortante che con pochi mezzi si possano ottenere dei grandi risultati, ma l’arte dell’improvvisazione può diventare limitante. L’intuizione dovrebbe essere accompagnata dallo studio.
Spero che questo possa essere un buon incentivo per un futuro musicale più creativo e coraggioso.


 
A Gennaio 2021 hai partecipato al XX premio Fabrizio De Andrè all’Auditorium Parco della Musica di Roma, un palco importante. Ti sei classificato terzo con il brano “Io sono meno inglese di thè” che dà il titolo al tuo omonimo album. Come hai vissuto questa esperienza? Cosa ti ha lasciato nel cuore?

L’esibizione al Premio De Andrè è stata un’esperienza meravigliosa che ho condiviso a fianco del produttore Antonio Patanè e del batterista che mi segue in studio e live, Giulio Serafini (per l’occasione al drum pad elettronico).
L’emozione più impattante è stata quella di esibirsi sul fantastico palco dell’ Auditorium Parco della Musica di Roma, teatro che solamente a livello estetico ti mozza il fiato.
Nonostante la veloce performance con il brano “Io sono meno inglese di thè” l’adrenalina non è mai cessata vista la sala piena.
Inoltre cantare e suonare davanti a Dori Ghezzi è stato toccante.

Oggi le Major puntano molto sui talent e tanti musicisti si fanno conoscere così. Nel 2022 hai partecipato a X-Factor arrivando ai Bootcamp. Raccontaci qualcosa di questa esperienza e cosa pensi, più in generale, dei talent? 

Nel 2022 vengo contattato dalla direzione artistica di X-Factor in merito ad una eventuale partecipazione al programma. 
Non ho mai amato i talent in vita mia, la mia concezione musicale si distanza da quel tipo di intrattenimento televisivo, ma negli ultimi anni ho seguito X-Factor , perché da lì sono emersi artisti validi che mi hanno stupito. 
Quando è arrivata questa proposta quindi non ho esitato e mi ci sono tuffato con tanta curiosità.
L’esperienza è stata positiva. Ho avuto la fortuna di poter esibirmi nella prima audizione con l’inedito “Oro Bianco” che mi ha portato direttamente alla fase successiva e ristretta dei “Bootcamp”. Per quell’occasione cantai una versione riarrangiata di “Onda su onda” (Conte-Lauzi) che fu accolta con più entusiasmo rispetto al primo brano. Nonostante ciò non superai il turno.
Ho vissuto il tutto con tanto ottimismo, perché non c’è stato nessun tipo di imposizione o di cambiamento artistico ai fini del programma.
Ho portato esattamente me stesso, ma non mi sono sentito totalmente appagato proprio perché quel tipo di intrattenimento televisivo-musicale non mi è mai appartenuto e tende un po’ ad irrigidirmi.


Ci puoi raccontare come è nata la recente collaborazione tra te e Giovanni Caccamo per il suo bellissimo progetto “Manifesto del cambiamento” (pubblicato da Treccani), un volume di 60 testi che nascono dalle domande “Qual è la tua parola di cambiamento?" e Cosa cambieresti della società in cui vivi e in che modo?”. Tra molti giovani artisti che hanno partecipato, hai scelto di sviluppare una riflessione sulla parola “GENTILEZZA”, un discorso rivolto verso l’empatia. Come sei arrivato a voler trattare proprio questo argomento?

Grazie per questa bellissima domanda, ne parlo con piacere.
La mia conoscenza con Giovanni avviene tramite Red Ronnie, verso l’inverno del 2021.
Dopo una breve conversazione riguardo Franco Battiato il rapporto con Giovanni si è amplificato, sia dal punto di vista umano che professionale.
Mi ha coinvolto ad una masterclass di scrittura ad Aprile di quest’anno presso la Andrea Bocelli Foundation a Camerino (MC) che ancora porto nel cuore.
Il progetto “Parola ai Giovani” con la conseguente pubblicazione del “Manifesto del Cambiamento”, l’ho vissuto a stretto contatto con il cantautore Matteo Trapanese, il quale anche lui ha partecipato con bensì due parole inserite nel volume.
Giovanni sta proponendo un progetto ambizioso, puro e coraggioso. Un vero intellettuale con una sensibilità unica, in cerca del vero benessere tra le persone attraverso il dialogo, la comprensione e la pazienza.
L’onore di essere stato inserito con la parola “Gentilezza” tra i 60 testi pubblicati nell’opera è indescrivibile. Il mio pensiero è rivolto all’empatia verso se stessi e verso gli altri, perché quando si è avvelenati dallo stress quotidiano e dai problemi che appaiono grandi ma invece sono futili, si tende ad avvelenare la società. Le persone sono spugne, non possiamo gettare loro il veleno, perché viene assorbito e distribuito altrove. 
Il focus è impegnarsi a ricercare la serenità e a non farsi travolgere dalla negatività che ci circonda.

Il 2023 ti ha portato un altro bel traguardo, mi riferisco alla targa che hai ricevuto per il migliore arrangiamento del Premio Bruno Lauzi, organizzato dal MEI (Meeting Etichette Indipendenti). Durante questa manifestazione hai presentato un nuovo inedito, “L’errore”, che farà parte del tuo nuovo disco. Cosa ti ha lasciato questa esperienza? A proposito, quando è prevista l’uscita del tuo nuovo album?

Il Premio Bruno Lauzi è stato senza dubbio uno dei live estivi più belli ed emozionanti. La bellissima location di Anacapri ha reso il tutto ancora più paradisiaco. Il brano “L’Errore” sarà la traccia che aprirà il nuovo album e sono particolarmente contento perché ha un arrangiamento orchestrale realizzato da Antonio Patanè e registrato da Emanuela Grassetto al violino, Michela Zanotti alla viola, Veronica Conti al contrabbasso.
Oltre all’esibizione molto emozionante ricordo con tanto divertimento la cena post concerto con Fausto Leali, Giordano Sangiorgi del MEI e tutti i colleghi musicisti che hanno condiviso il palco con me: Lorenzo Lepore, Innocente, Helle e Maladie Des If.

Ci sono esperienze di performance live che ti hanno particolarmente colpito o insegnato qualcosa di importante?

Una performance live che porto nel cuore è stata quella della presentazione dell’album “Io sono inglese di thè” al teatro Corte di Coriano (RN).
Mi ha colpito particolarmente per l’enorme lavoro di squadra che c’è stato per mettere in scena un concerto studiato con cura e passione, sia dal punto di vista tecnico che dell’esecuzione.
Ho capito quanto un progetto musicale possa diventare forte e potente se sostenuto da persone di fiducia, che combattono la tua stessa battaglia e lavorano con grande cuore.


Su quali palchi (o in quali posti) sogni di esibirti? 

Sogno di esibirmi nei più importanti club italiani come l’Estragon o l’Alcatraz, ma pian piano spero di arrivare anche nei club di portata media che propongono formazioni e concerti di altissima qualità.

Se per un attimo ti fermassi a pensare alla tua musica come una metafora, quali immagini, colori, forme particolari o altri dettagli ti vengono in mente? Come descriveresti la tua musica?

Penso che la mia musica possa essere definita come un brillante mix pittorico tra realismo, espressionismo, dadaismo.
Credo che il mio modo di fare arte sia calibrato, con finitura di dettagli e colori smaltanti, ma raccontando la realtà senza filtri. Mi piace avere tutto sotto controllo e quasi mai affidarmi al caso.
Ma questa rotondità e precisione ogni tanto voglio che sia rotta dall’impulsività,  lasciandomi andare e gettarmi tra le braccia del dadaismo affidandomi all’istinto di cantare o esprimere concetti che nascono da visioni particolari e senza un apparente significato a volte anche per me!

Chiudiamo questa intervista con una domanda che siamo soliti fare a tutti: cos’è l’Arte e chi sono gli artisti ?

Immagino che la musica e tutta l’arte in generale sia come un veicolo in grado di trasportare tutte le emozioni esistenti in natura: felicità, paura, terrore, nostalgia, orrore, compassione e così via.
L’artista è il pilota di questi veicoli e le strade che vengono percorse non sono uguali per tutti. L’artista deve avere il coraggio anche di sbagliare strada, provare ad intromettersi in un percorso più tortuoso che può portare ad una vista mozzafiato o a un vicolo cieco. Non c’è mai un’indicazione precisa, bisogna solo avere la tenacia e la costanza di guidare per centinaia di migliaia di chilometri.

Grazie Luca per averci dedicato il tuo tempo. Ti auguriamo un grandissimo successo e che possa realizzarsi tutto ciò che desideri! 

Di seguito riportiamo tutti i link ufficiali dove poter seguire Luca Fol:





Copyright © immagini, videoclip e musica di Luca Fol, tutti i diritti sono riservati.

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